Sono giorni difficili, per tutte e tutti. Come Libera Bologna ci sentiamo parte di una comunità che ha sempre fatto della cultura, dell’approfondimento, dell’impegno il suo ‘pane quotidiano’. Come tante e tanti altri ci sentiamo spaesati in un momento in cui – giustamente – dobbiamo rallentare, cambiare modalità di vita, per tutelarci e tutelare chi vive insieme a noi.
Per questo, nei prossimi giorni, ogni mattina invieremo spunti di approfondimento, consigli di lettura e di ascolto su mafie, corruzione, sfruttamento, caporalato, giustizia sociale. Lo facciamo online, tramite questa newsletter, per condividere i nostri temi e restare insieme.
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“La rivoluzione è donna. È questa la sintesi del più radicale stravolgimento nell’universo maschilista per antonomasia, la mafia. Una realtà piena di sfumature, dove lo stesso concetto di emancipazione è difficile da definire: ciò che però ci viene lasciato è un’autorappresentazione dell’universo femminile, tra chi si è ribellata e chi invece è rimasta vincolata. È il racconto di una realtà non cristallizzata e tutta da analizzare.”
Nei prossimi due giorni vi terremo compagnia parlando di donne e mafia. Come descritto nell’articolo de La ventisettesima Ora che abbiamo usato per l’introduzione, il tema ha tantissime sfaccettature: nel contesto mafioso il femminile viene definito e declinato secondo l’uso piú strumentale ad assecondare il potere maschile e dell’associazione, soprattutto attraverso la trasmissione ai figli e alle figlie dei valori mafiosi. Ma nella sua complessità il femminile risulta essere anche una grandissima risorsa per la rottura dei legami mafiosi stessi.
Renate Siebert nel suo libro “Le Donne, la Mafia” (Il Saggiatore,1997) scrive: “´E vero, magari le donne arrivano prima degli uomini alla consapevolezza che la catena degli omicidi va spezzata; ma solo quando la morte è arrivata davvero vicina si ribellano. […] Forti quando si tratta di agire, questi uomini appaiono assai deboli quando si tratta di elaborare e cambiare sul piano psichico. È su questo piano, invece, che le donne sembrano piú coraggiose.”
Sono ormai tantissime le storie di donne, ragazze, madri, sorelle, parenti di vittime innocenti, vedove, che si sono ribellate alla mafia e hanno preso duramente posizione, spesso al costo di enormi rinunce, dai legami familiari alla propria libertà.
“La ribellione femminile è un problema destabilizzante per le mafie: se una donna se ne va, il capo appare debole e con lui tutta l’organizzazione”, prosegue l’articolo della Ventisettesima Ora, e dunque quando le donne se ne vanno, secondo il codice mafioso, devono pagare con la vita. La decisione di ribellione viene presa a prezzi spesso altissimi, ma é quello con cui donne come Maria Concetta Cacciola e Lea Garofalo hanno deciso di confrontarsi rifiutando di rimanere in quell’ambiente. La vita di Lea è raccontata nell’omonimo film Rai (disponibile su RaiPlay, 96’, 2015).
Rita Atria a soli diciassette anni, dopo aver visto morire il padre e il fratello, decide di allontanarsi da Partanna insieme alla cognata Piera Aiello e di denunciare. Viene ripudiata dalla sua stessa madre ed è costretta ad iniziare una nuova vita sotto protezione. Persiste nella sua scelta, trova nel giudice Borsellino una figura di riferimento. Ma il percorso molto arduo la porta a togliersi la vita una settimana dopo la strage di via d’Amelio. “Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza” scriveva Rita sul suo diario “e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci” (In ricordo di Rita – Ciotti su Repubblica, 26/07/2002). La sua storia è raccontata nella puntata a lei dedicata del podcast di RaiRadio 3 “Vite che non sono la tua”
Rita, Lea, Piera, Maria Concetta sono solo alcune delle donne che hanno preso posizione e hanno spezzato il ricorrere di queste dinamiche malsane.
Ma non ci sono solo testimoni di giustizia, la storia dell’antimafia è animata anche da tante familiari di vittime innocenti, mogli, madri, sorelle e vedove. Storie come quella di Felicia Impastato, che ha portato avanti la memoria del figlio Peppino, come quelle di Saveria Antiochia e di Carmela Montinaro, che persero i figli poliziotti rispettivamente negli attentati a Ninnì Cassarà e a Giovanni Falcone. Il 21 marzo nasce dal dolore di una mamma, che un anno dopo la strage di Capaci chiese che il nome del figlio fosse ricordato insieme a quello di tutte le altre vittime innocenti.
Le vite di sei di queste donne sono raccontate da Nando Dalla Chiesa nel libro “Le ribelli” (Melampo, 2006) in una ricostruzione dell’impegno antimafioso degli ultimi anni.
Numerose e importantissime sono anche le associazioni e i gruppi di donne: dall’Associazione delle Donne Siciliane per la Lotta Contro la Mafia alla storia delle Donne del digiuno. La prima nata già nel 1980, fondatrici nove donne: Elvira Rosa, Silvana Giuffrè, Antonia Cascio, Giovanna Giaconia Terranova, Anna Costanza, Anna Savagnone Pomar, Vincenza Catalano Barillá, Giuseppa Ferraro e Maria d’Amico. Il loro impegno si concentra fin da subito sul supporto a tutte le donne o uomini che denunciano la mafia, a partire da chi si costituisce come parte civile e accusa. La presenza fisica e affettiva delle donne nelle aule di tribunali ha dato fiducia alle coraggiose donne disposte a rompere il silenzio. Nel 1980, inoltre, riescono a raccogliere piú di 30000 firme per un appello esposto all’allora presidente Pertini per la velocizzazione della discussione della legge Rognoni-La Torre.
Quella delle Donne del digiuno, invece, é l’esperienza di resistenza radicale di un gruppo di donne che, non accettando di vedere il loro territorio in mano alla criminalià organizzata, dopo le stragi del 1992 si raduna in piazza Castelnuovo, a Palermo. Chiedevano le dimissioni delle più alte cariche dello Stato e delle forze dell’ordine: “Avevamo installato nella piazza una bacheca con dei fogli – dice Simona Mafai, classe 1928, militante del Pci ed ex consigliera comunale – Donne e giovani venivano e scrivevano delle frasi sulla lotta alla mafia. Siamo rimaste lì per quasi due mesi con le roulotte e le tende e per uno di questi abbiamo digiunato. Pensavamo: ‘È estate, ora la gente va a mare e si dimentica tutto’ – dice Salatiello – Invece parlavamo giorno e notte con le persone” (da Antimafiaduemila, 23/07/2016)
In ultimo vi segnaliamo la storia ricostruita da Ester Rizzo nel suo romanzo “Le ricamatrici” (Navarra Editore, 2018). Il libro racconta di Filippa Rotondo e delle sue compagne, che nel 1973 si ribellarono agli sfruttamenti che subivano sul lavoro creando la “Lega delle ricamatrici”, sostenuta da UDI, PCI e CGIL. Attirarono l’attenzione della stampa nazionale sul racket a Santa Caterina Villarmosa (CL) e vinsero anche una battaglia legale. Costituirono la cooperativa “La rosa rossa”, ma continuarono ad essere intimidite e minacciate dai mafiosi della zona, che le isolarono completamente. “Erano maturate in fretta, avevano aperto gli occhi su un mondo che le voleva sempre disponibili ed ubbidienti, pronte ad ingoiare, con un sorriso amaro, ingiustizie e discriminazioni. Ma questa loro ribellione non era stata indolore. La loro presa di coscienza aveva spesso frantumato rapporti familiari, di amicizia e di buon vicinato.”
A domani!
Le puntate precedenti:
Caporalato e sfruttamento
Carceri e situazione detentiva in Italia