“Occorre riassegnare alla scuola il ruolo primario di socializzazione e di formazione. È un ruolo sostanziale, soprattutto dove la criminalità ha il sopravvento. La mafia teme più la scuola della giustizia. L’istruzione toglie erba sotto i piedi della cultura mafiosa”.
- Antonino Caponnetto.
In alcuni momenti dell’anno siamo a scuola praticamente tutti giorni, anche in più scuole contemporaneamente. Dal 2009 abbiamo incontrato migliaia di studenti, centinaia di professori e collaborato con tantissime insegnanti. Viviamo la scuola, in maniera non convenzionale forse, ma intensamente e per questo oggi abbiamo deciso di raccontarvi la fase particolare che questo mondo sta vivendo.
Cerchiamo ogni giorno di evitare il collasso del sistema sanitario, ad un certo punto dovremo occuparci di quello educativo.
Com’è la scuola al tempo del coronavirus? Possiamo cominciare da qui, una breve lettura dal diario di un’insegnante: gli alunni, le videolezioni, le chat.
Una delle prime misure di distanziamento sociale prese per affrontare l’emergenza Coronavirus ha riguardato proprio le scuole. Nella nostra regione è giusto un mese che bambine e ragazze ogni mattina restano a casa invece di andare in classe, in alcuni casi accendono computer o smartphone e tentano di recuperare qualche lezione con la didattica a distanza, videochiamate con professoresse e compiti in cloud.
#lascuolanonsiferma è il motto lanciato sui social network dal Miur, uniti ce la faremo, dicono: si va avanti, l’anno è valido. A livello amministrativo, si intende. Gli studenti potranno continuare il loro percorso di studi senza “perdere tempo” a ripetere questo interrotto per cause di forza maggiore.
Si tratta di un grande sforzo per un ministero che non ha mai brillato per innovazione, per le docenti impegnate ad auto-formarsi su nuovi strumenti didattici e anche per le famiglie costrette a casa con ritmi insoliti e nuove necessità. Eppure, le difficoltà, come in tutti gli stravolgimenti repentini, non mancano, e se la scuola non si è propriamente fermata, in realtà qualche intoppo l’ha subito.
Innanzitutto, se è vero che la scuola anche online resta diritto essenziale di tutte al di là delle condizioni sociali ed economiche allora urge affrontare il tema delle disuguaglianze, già trattato in diversi approfondimenti dei giorni scorsi. «I ragazzini poveri non hanno il pc, i genitori non possono ricaricare i giga, né uscire a far fotocopie» twitta, tra le prime, Valeria Parrella, ricordando anche la situazione delle studentesse detenute per cui si aggiunge questa ennesima complicanza. E a parte le disuguaglianze, magari, ci sono semplicemente un paio di computer in famiglia e mamma e papà che lavorano in modalità smart working, e quindi bisogna alternarsi, fare in fretta, segmentare l’impegno e il tempo libero.
E per tornare ancora alle disuguaglianze, queste non colpiscono solo le famiglie, ma anche territori e istituti scolastici che nella corsa alla trasformazione digitale partono da posizioni molto molto diverse.
Poi c’è il tema di come applicare gli strumenti della digitalizzazione ai contenuti della scuola che sappiamo non essere secondario. Possiamo dirci che l’anno in corso sarà burocraticamente valido, ma le studentesse possono perdere praticamente mezzo anno di ogni programma? Sarà necessario, l’anno prossimo, colmare le lacune e recuperare gli argomenti? E come monitoriamo l’efficacia di questi mezzi, abbiamo il tempo di fare delle valutazioni?
Su Internazionale Franco Lorenzoni scrive: «L’apertura che offre la scuola, quando riesce nel suo compito, permette a bambini e ragazzi di compiere viaggi siderali. Cosa c’è di più lontano da noi, infatti, di un australopiteco o dell’espansione dell’universo, di un teorema di Talete o di un sonetto di Petrarca? Eppure quella rottura di lontananze, che fa sentire vicini a noi i personaggi di un romanzo o la misteriosa irrazionalità del pi greco, nasce dalla vicinanza di chi ci propone e ci fa dialogare con quei manufatti culturali, da quel corpo a corpo necessario che in una relazione attiva rende viva la cultura.
Provare a mantenere il senso di tutto questo a distanza è una sfida ai limiti dell’impossibile».
Per questa sfida sarebbe servito del tempo di sperimentazione: trovare le giuste applicazioni per ogni materia, metodologie per la didattica e per verifiche e interrogazioni e invece ora come ora tutto è sperimentato in corsa e non possiamo fare altrimenti.
Infine, c’è il grande tema delle relazioni, quelle fra le studentesse, fra studentesse e docenti e quelle fra colleghe. C’è il convivere nella scuola, il collaborare: ci sono i lavori di gruppo, i laboratori, la ricreazione.
«Come avremmo potuto sostituire la relazione educativa in presenza, l’ambiente, il corpo e le mani che apprendono insieme, l’intimità del raccontarsi, con un’offerta digitale?» si chiede Luca Lòtano su Minima&moralia e la domanda riverbera e si amplia: se la scuola è il luogo in cui si cresce cittadine come si fa a diventarlo senza vivere la città, senza stare nella folla, senza prendere l’autobus, senza avere a che fare con gli umori e i bisogni delle compagne?
E in fondo in tutto questo ci siamo anche noi, la città che entra a scuola, noi, insieme alle altre associazioni che si impegnano ogni anno ad incontrare centinaia di studentesse di ogni ordine e grado per portare i contenuti dell’attualità, del territorio, della cittadinanza attiva. In questa scuola improvvisamente senza muri e senza cattedre sono stati sospesi anche molti progetti che di cattedre e muri non avevano bisogno. Anche noi però siamo pronte a riprenderci: non ci fermiamo e siamo pronte a sperimentare le varie piattaforme, metodologie e possibilità per portare avanti le nostre attività.
Per chiudere questa istantanea sulla situazione del mondo della scuola nei giorni dell’emergenza pandemica però, vorrei volgere lo sguardo oltre l’emergenza. Nei tanti contenuti su questo argomento scritti da insegnanti (alcuni dei quali li potete trovare nei link di questo articolo) c’è una preoccupazione di fondo, un tema a cui anche noi che viviamo insolitamente la scuola vogliamo prestare attenzione. Quale visione della scuola si avrà al ritorno alla vita di sempre? Federico Bertoni, professore ordinario di Teoria della Letteratura all’Università di Bologna, affida a Facebook il suo pensiero: «questa è un’emergenza terribile che stiamo fronteggiando al meglio delle nostre forze, per gli studenti e per l’istituzione in cui crediamo. Ma nessuno provi a trasformare questa “occasione” (sic) in una sperimentazione forzata sulla didattica a distanza. Noi torneremo in classe, in aule di mattoni, circondati da persone in carne ed ossa».
Approfondimento di Salvatore Celentano – Formatore del Gruppo Formazione di Libera Bologna.
Per approfondire il tema vi consigliamo ancora:
La scuola ai tempi del Covid/1 – Letteratura e noi
La scuola ai tempi del Covid/2 – Letteratura e noi
La scuola ai tempi del Covid/3 – Letteratura e noi
La scuola ai tempi del Covid/4 – Letteratura e noi
Scuole chiuse, ora si fa sul serio ma c’è un problema (che non è la didattica a distanza)
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