Sono giorni difficili, per tutte e tutti. Come Libera Bologna ci sentiamo parte di una comunità che ha sempre fatto della cultura, dell’approfondimento, dell’impegno il suo ‘pane quotidiano’. Come tante e tanti altri ci sentiamo spaesati in un momento in cui – giustamente – dobbiamo rallentare, cambiare modalità di vita, per tutelarci e tutelare chi vive insieme a noi. Per questo, nei prossimi giorni, ogni mattina invieremo spunti di approfondimento, consigli di lettura e di ascolto su mafie, corruzione, sfruttamento, caporalato, giustizia sociale. Lo facciamo online, tramite questa newsletter, per condividere i nostri temi e restare insieme.
L’idea per l’approfondimento di oggi ci è venuta a partire dalla tesi di laurea “Percepire e comprendere le mafie nell’epoca della società della conoscenza”, scritta da Laura D’Onofrio che ha fatto un pezzetto di strada con noi negli ultimi anni.
Oggi parliamo di mafie e nuovi media. Eh sì, perché anche la criminalità organizzata ha una sua lettura della realtà e anche la criminalità organizzata la comunica. Lo ha sempre fatto. Da sempre tenta di diffondere la propria idea del mondo, la propria prospettiva, soprattutto parlando ai ragazzi per fidelizzarli fin da piccoli. Oggi più che mai questo fenomeno è amplificato. E’ evidente come le mafie si siano svecchiate rispetto al classico immaginario e usino appieno la tecnologia, i social, la televisione e la musica come suoi strumenti di comunicazione. E proprio grazie alle nuove tecnologie riesce ad allargare la fetta di destinatari tra cui riscuotere consensi.
Le usano per proporre modelli educativi, modelli di valori e disvalori al suo interno oltre che all’ esterno. Le mafie, infatti, hanno una logica educativa ben specifica. Separano ciò che è dentro e ciò che è fuori, spiegando che le regole si danno dentro al sistema, mentre fuori tutto è lecito. Fin dalla nascita insegnano quello sguardo mafioso, basato sul silenzio, il rispetto, l’importanza della famiglia, l’onore e l’orgoglio.
Ma la criminalità organizzata non propone modelli solo al suo interno, come prima notavamo, grazie alle nuove tecnologie li comunica anche al resto della società.
Lo storico Ciconte, nel suo libro Dall’omertà ai social, come cambia la comunicazione della mafia, rivela che negli ultimi tempi i mafiosi hanno iniziato a parlare con più frequenza e in svariati modi, anche attraverso mezzi che possono raggiungere chiunque, come la televisione. Il fatto che ciò avvenga dovrebbe avere di contrappeso una comunità giornalistica che si fa carico di una responsabilità collettiva verso la società, nel tutelarla in merito alla veridicità delle informazioni proposte e nell’avere la capacità di bilanciare il sottile limite tra libertà di parola e tutela della legalità.
Basti confrontare, nell’approccio giornalistico, da una parte lo spazio lasciato al figlio di Riina inun’intervista a “Porta a Porta” (qui e qui le reazioni della Commissione parlamentare antimafia) e dall’altra l’inchiesta giornalistica sul rapporto fra ‘ndrangheta e Juventus presentata a Report (qui l’anteprima).
Il rischio che si corre a non vigilare criticamente sui messaggi veicolati è che si costruisca una visione distorta della realtà, mafiosa, aggiungendo così tasselli ad un pensiero disinformato e qualunquista.
Vignetta di Enrico Natoli per Q Code Mag
Come evidenzia il rapporto LiberaIdee, il rischio che i giovani percepiscano le mafie e il loro modo d’essere e agire solo attraverso la visione di film o di serie tv, non possedendo strumenti di base per leggere cosa le mafie oggi siano, è dietro l’angolo. Di conseguenza è sempre più facile che si creino un’idea di mafia che non rispetti la realtà dei fatti.
“Gli under 25 sottolineano in misura superiore alla media il ruolo di internet e dei social network, mentre i giovani e giovani adulti (dai 18 ai 39 anni) attribuiscono particolare rilevanza al cinema. Importante riuscire ad intercettare e usare tutti questi strumenti per riuscire ad arrivare a quanta più audience possibile.”
La serie “Gomorra”, ad esempio, lascia spazio al vero in quella falsa realtà rappresentata dalla tv. Non mancano le critiche: Gratteri ritiene che la serie pecchi della mancanza della controparte che è l’azione legale e delle forze dell’ordine, Demarco ne critica il fatto che non viene quasi mai messa in risalto l’altra” Napoli “Non è presente il Bene, soltanto il Male che fronteggia un altro Male”, cosa che invece riesce a tenere insieme la serie Rai “I bastardi di Pizzofalcone”.
Effettivamente sia Bianconi che Saviano, autori della serie, qui hanno confermato l’assenza dei buoni, ma l’hanno fatto per “evitare che vi fossero personaggi in cui identificarsi, con cui poter socializzare. Lo spettatore non deve rilassarsi di fronte alla serie, dev’essere all’erta, nessun respiro di sollievo. Le forze dell’ordine e la società “per bene” non sono state enfatizzate, perché nella mente dei criminali non sono presenti, non sono fondamentali. Ecco perché abbiamo scelto un modo diverso di raccontare. Noi non volevamo costruire storie già masticate da dare in pasto ai telespettatori, ma storie difficili da digerire, di quelle che ti tornano in mente il giorno dopo e ancora devi forzarti a scrollartele di dosso.”
Anche i social network sono un potente strumento per le mafie, perché consentono loro di raggiungere tutti, senza distinzione di luogo o età. Riescono a trasmettere i loro ideali e disvalori anche a coloro che mafiosi non sono, ma che possono riconoscersi in alcuni di quegli ideali e condividerli: chi mette like smette all’istante di essere soltanto un agente passivo e non fa altro che rafforzare il consenso su questi temi. Alcuni esempi sull’uso dei social sono raccolti da Mariani in un articolo su Repubblica.
Infine parliamo di musica. Da qualche anno spopola tra gli adolescenti, destinatari primari della pedagogia mafiosa, la musica trap. A noi interessa in particolare il sottogenere della trap neomelodica, i cui temi principali sono droghe, faide, spaccio, tradimento, omicidio e l’immancabile amore. Nulla di male a cantare di vita vissuta, quello che emerge dai testi, però, non è la speranza di un futuro migliore, lontano da queste situazioni, ma anzi ci si fa vanto della violenza grazie a cui si controlla la zona, si puniscono i traditori e si evitano le forze dell’ordine. Ne ha scritto Sanzone su Il Fatto Quotidiano in questo articolo.
Chiaramente queste considerazioni non si estendono a tutto il genere musicale, né vogliono sconsigliarne l’ascolto in toto. Occorre però un ascolto critico, che consenta di riconoscere le tematiche e le dinamiche enfatizzate in questi brani. Non sempre le ragazze e i ragazzi hanno gli strumenti per farlo e per questo è fondamentale che famiglie, educatori e in generale la società attuino sempre più percorsi di educazione alla legalità democratica, anche e soprattutto ricorrendo ai nuovi media. Un esempio è quello dell’associazione “Musica contro le mafie”, che sfrutta le piattaforme social e i percorsi nelle scuole per diffondere i temi dell’antimafia attraverso le canzoni, premiando ogni anno l’artista che più si è distinto.