Oggi è giovedì 2 aprile. Trentacinque anni fa il 2 aprile era un martedì, le scuole erano aperte e in tutta Italia c’erano migliaia di genitori che accompagnavano i figli a scuola. Tra questi c’era anche Barbara Rizzo. Viveva a Pizzolungo, una frazione di Erice, nel trapanese. Aveva tre figli: Margherita, di 11 anni, e Giuseppe e Salvatore, di 6 anni.
Quella mattina Margherita era andata a scuola con un’amica: i due fratelli litigavano e lei non voleva fare tardi. Alle 8.35 la macchina su cui viaggiavano Barbara Rizzo, Giuseppe e Salvatore Asta, viene superata da quella del giudice Carlo Palermo e in quel preciso momento viene fatta esplodere un’autobomba. Barbara, Giuseppe e Salvatore muoiono: la loro macchina fa da scudo a quella di Palermo, che si salva, insieme agli uomini della scorta.
È la Strage di Pizzolungo uno dei tanti attentati mafiosi sui quali non c’è ancora una verità completa: sono passati trentacinque anni ed è in corso il quarto processo per individuare i mandanti. È una strage che racconta tanto: della mafia nella Sicilia degli anni Ottanta, di mafiosi che non si fanno scrupoli nel far saltare un’autobomba nonostante sappiano che colpirà delle persone innocenti, di un dolore che si trasforma in impegno, di una lunghissima ricerca di verità e giustizia e, infine, della ribellione interna alle famiglie mafiose. Temi di cui parleremo nella nuova serie di podcast di Sentiti Libera: quattro puntate che partono proprio da quel 2 aprile 1985. La prima la potete ascoltare qua: Strage di Pizzolungo, trentacinque anni dopo.
Oggi, sono passati 35 anni e non ci sono ancora né una verità né una giustizia complete. Non hanno mai smesso di cercarle Margherita Asta, che oggi è referente del settore memoria di Libera Emilia-Romagna, racconta la storia della sua famiglia e della strage di Pizzolungo in tutta Italia, porta avanti la memoria e la battaglia per avere verità e giustizia. E neanche Carlo Palermo, che dopo la strage ha abbandonato la magistratura e intrapreso l’avvocatura e non ha mai smesso di indagare sulla strage.
Il magistrato era stato trasferito da Trento alla procura di Trapani poche settimane prima. A Trapani, prende in mano le indagini del collega Gian Giacomo Ciaccio Montalto, ucciso due anni prima, il 25 gennaio del 1983. E subito entra nel mirino di Cosa Nostra: dieci giorni dopo il suo arrivo riceve la prima minaccia: “Faremo saltare il giudice Palermo e tutta la scorta”. L’attentato arriverà poche settimane dopo.
Dopo la strage ha abbandonato la magistratura e intrapreso l’avvocatura. Non hai mai smesso di indagare sulla strage.
E non abbiamo mai smesso di chiedere verità e giustizia neanche noi, al fianco di Margherita Asta. L’anno scorso eravamo a Pizzolungo, per il 34° anniversario. Quest’anno raccontiamo la storia, con queste parole e quelle del podcast. Perché fare memoria significa anche raccontare, chiedere verità e giustizia significa anche informarsi e informare. E portare avanti una narrazione quotidiana di piccole e grandi mafie, infiltrazioni, sistemi, che spesso non hanno la giusta eco, che spesso vengono dimenticate o passano inosservate. Come quelle che emergono dall’attentato del 2 aprile di trentacinque anni fa.
Un abbraccio a Margherita da tutte noi.